Cibo, odori e ricordi

I sensi dell’olfatto e del gusto sono quelli che danno la maggiore carica alla memoria. Gli odori riescono a scatenare ricordi che credevamo sopiti. A volte si sentono odori che riportano alla mente il proprio passato.

 

Ho provato ad abbinare le mie storie con il cibo.

Ne sono usciti tanti ricordi che provo a rimettere in ordine cronologico.

 

 

1963-64 Terza Media

Polvere di cacao dolce mi entra nel naso e mi ritorna in mente l’anno scolastico 1963-64.

È il primo anno scolastico che frequentai lontano dal paese di Castel San Giovanni dove ho fatto tutte le elementari ed i primi due anni delle medie. E dove avevo allora tutti gli amici, alcuni, carissimi ancora oggi.

Con la famiglia ci eravamo trasferiti a Piacenza, io frequentavo la terza media, nella stessa scuola frequentavano alcuni amici che avevo a Castello, ma loro non abitavano a Piacenza arrivavano con la corriera tutte le mattine in piazza Cittadella.

 

La scuola era la media Statale “A. Manzoni”, che non c’è più, era dietro al Liceo Classico appena al di là dalla strada, la Scuola apriva alle 8.00, la corriera da Castello arrivava poco dopo.

 

Mio papà tutte le mattine andava a lavorare a Castello, in macchina, prima però passava nella sede della banca in piazza Cavalli all’angolo con via Cittadella. Si fermava ad incontrare i colleghi e ritirava il plico della posta per la filiale, a volte, mi raccontava, portava anche delle ingenti somme di denaro contante. Erano altri tempi.

Mi accompagna in macchina fino in piazza, non era zona pedonale e si poteva percorrere tutto il Corso, ed io scendevo alla banca, percorro a piedi tutta via Cittadella e qualche minuto prima delle otto arrivavo alla stazione delle corriere.

Era ancora presto per la corriera e la scuola era chiusa, io aspettavo la corriera degli amici dentro al bar, guardando fuori dalla finestra.

In quel bar c’era una macchina per riempire cialde con panna montata, che usciva profumata da una bocchetta, il cameriere ne serviva in continuazione e prima di servirli li ricopre di cioccolato dolce in polvere.

 

Ogni volta che sento quell’odore mi scatena il ricordo di quella breve esperienza.


Estati 1966-68 Liceo

Motorini e Vespe, ci aprirono la via verso la Valtrebbia, un asciugamano, un costume e via i lidi erano tutti nostri,

Lidi ce ne sono tanti: appena dopo Gossolengo, dove adesso c’è il ponte c’erano delle belle spiagge, Rivergaro era il lido più frequentato, quella che preferivamo noi era Cisiano, appena sopra Rivergaro.

Arrivavamo a Cisiano, passando il ponte e scendevamo al fiume un po’ più a monte, dopo il bivio che verso monte porta a Travo e a valle a Statto e Rivalta. C’erano delle belle rocce e si potevano fare i tuffi.

Il sole era caldo, i sassi scottavano, l’acqua era pulita, perché usciva da sotto un ghiaione. In superficie la temperatura era accettabile, in profondità, quella che scorreva da sotto il ghiaione era come acqua sorgiva ed era gelata.

Ho rivisto il posto di recente il torrente adesso corre sulla destra del suo alveo le buche sotto rocce non ci sono più, una piena le ha riempite di sassi, addio tuffi.

 

L’acqua che entrava in bocca e nel naso sapeva leggermente di fango, i sassi caldi sotto l’asciugamano odoravano di terra, di limo.

Si faceva il bagno, si chiacchierava, si fumava, e si aspettava sdraiati di essere asciutti.

Facevamo interessanti osservazioni, sopra le nostre teste si formavano, in quella stagione estiva, sciami di moscerini, minuscoli quasi invisibili, se presi singolarmente, ma la massa risaltava nel cielo come una nuvoletta più scura.

Stavano proprio sul ciglio del roccione dove, forse, c’era un debole risalita termica dell’aria. Erano un paio di metri più su delle nostre teste, quando, sdraiati supini, guardavamo in alto.

Ben presto ci accorgemmo che davanti ai nostri occhi si stava svolgendo un corteggiamento amoroso.

Al di sopra di ogni grappolo di centinaia di moschini si vedeva un insetto appena più grosso degli altri che si librava immobile. Immaginammo fosse la femmina, una specie di “moscerina regina”. Gli altri cento, mille, i maschietti, facevano la gare tra loro per raggiungerla per primi poi, nell’attimo culminante dell’accoppiamento, vedevamo il maschio più dotato aggrapparsi alla femmina che con lui precipitava nel vortice dell’amore!

In quel momento facevamo un applauso, un po’ invidiosi di quel maschio perché la situazione ci ricordava le feste del nostro liceo dove le ragazze dovevano subire l’assalto silenzioso dei brufolosi liceali e solo uno riusciva a raggiungere la meta.

Quando si era asciutti si ritornava, verso casa, ma non prima di una merenda.

Il profumo di quelle merende l’ho ancora nelle narici c’erano due o tre osterie sulla via del ritorno, ma la meta più frequentata era la prima partendo da Cisiano: la "Bellaria", che aveva un bellissimo pergolato sul fiume sempre un po' ventilato.

Non c’era tanta scelta: Coppa, salame, malvasia a una "micca" di pane. Forse le nostre narici si erano pulite nell’acqua del Trebbia ed erano più sensibili, ma se chiudo gli occhi sento ancora quella esperienza sensoriale, che oggi è difficile ripetere.

Il profumo della coppa, che si sentiva mentre veniva tagliata in cucina, la crosta croccante e dura del pane con la sua mollica fine-fine e bianchissima, l’aroma pungente della Malvasia frizzante salivano nelle narici.

Non c’erano né DOP, né IGP, la bottiglia non aveva nemmeno l’etichetta.

 

C’eravamo noi con in nostri 16 anni e la fame dopo un bel bagno nel fiume.


1970 71 Università

Pavia, città umida, sul Ticino un’aria pesante, gli inverni freddi e nebbiosi. Due inverni ho trascorso per il biennio di Università.

Mio padre si era ammalato e la situazione della famiglia non era rosea. Non potevo disporre di molti soldi, della quota che mi versava mia madre un buon terzo andava nell’affitto della piccola soffitta che dividevo con Guido, quello che rimaneva, per tutto il resto, non era tantissimo, bisognava spendere con oculatezza.

                                                              

Per mangiare c’erano diverse possibilità.

Alla sera si poteva mangiare a casa, ma non eravamo per niente attrezzati,  dopo avere fatto spesa al supermercato sotto la Piazza della Vittoria.

Più frequentemente c'era per noi la pizzeria "Bella Napoli", una pizza margherita costava 200 lire e non dovevano essere pizze tanto grandi perché ricordo che ne mangiavo quasi sempre due, o forse era tanto l’appetito.

 

A mezzogiorno se si era agli istituti di Fisica e Chimica in viale Golgi, c’era la mitica trattoria "da Canale". Offriva un menù fisso a poco più di 300 lire: pasta al sugo o risotto, fettina impanata con patate o simile.

Il cameriere, basso e grassoccio, era fenomenale: prendeva tutto l’ordine del fisso: “primo” “secondo” e “contorno” da dieci-quindici persone in una sola volta e le serviva tutte senza sbagliare.

Se le lezioni erano in centro c’era la mensa in Strada Nuova, meglio dimenticare.

Ma avevamo anche scoperto una mensa, aperta al pubblico, non lontano da dove abitavamo, la mensa del dopolavoro dei dipendenti delle Poste.

La “Mensa dei Postelegrafonici”, uscendo dall’Università, dalle parte delle due Torri era proprio appena fuori sulla sinistra accanto al palazzo delle Poste.

La sede del dopolavoro era in un palazzo forse del settecento, che aveva conosciuto giorni migliori, si saliva al piano nobile attraverso un grande scalone, gli affreschi erano impolverati ma ancora leggibili, si entrava in belle sale di rappresentanza, tappezzate, si attraversava la sala da biliardo, dove spesso giocavamo, e si arrivava nei fumosi locali della mensa.

 

Qui subito colpiva l’aria pesante e umida si stracotti, intingoli, spezzatini e zuppe.

 

Il piatto forte della cucina pavese è la “Frittura di maiale”, e non mancavamo di prenderla, era il piatto forte, tutti aspettavano quel giorno della settimana in cui la cuoca preparava al “sua” famose Frittura.

Il nome non inganni, non si tratta di un fritto, si tratta di una variante pavese della “Caseola” milanese una zuppa altrettanto ricca, senza le verze ma con cipolla e vino rosso.

 

Piatto invernale che si mangia nel periodo della macellazione del maiale da Novembre a Febbraio, ricco di tutto quello che non si butta via del maiale e del sapore della cipolla e del vino rosso.

 

Il ricordo di Pavia non è disgiunto dall’afrore di quelle spessa zuppa di verdure e carni varie.

 

 

Spesso all’uscita verso casa in pomeriggi nebbiosi venivamo avvolti dalla nebbia e dai miasmi dell'Industria Chimica alle porte della città , la "Snia Viscosa".

I fumi non potendo andare in alto per la cappa di inversione termica si distribuiva orizzontale ed ammorbava l’aria di tutta la città con il caratteristico odore di uova marce, solfuro di qualcosa, che però forse era meglio quello dell’odore della zuppa di frattaglie di maiale che rimaneva per giorni sui vestiti e nei capelli.


1974-75 Servizio militare

 

Appena arrivammo alla Scuola, i colleghi del corso precedente, che erano lì da un paio di mesi prima di noi, i “nonni, ci prendevano in giro, come d’abitudine,

Uno egli argomenti preferiti era quello di enfatizzare le fatiche ed i pericoli dei servizi di giardia.

Notti insonni, ulularti di lupi, tuoni e fulmini e freddo. 

Noi poveri “pistrini” dovevamo essere terrorizzati, ma non erano molto credibili.

I servizi sarebbero iniziati appena che noi nuovi allievi avessimo finito di imparare ad utilizzare le armi in dotazione, e dopo il giuramento. 

Il nostro corso giurò il giorno di Santa Barbara che cade il 4 Dicembre le nostre guardie iniziarono a Dicembre e finirono alla fine di Febbraio quando terminammo il corso. 

Niente male tutto l’inverno più freddo e le montagne dell’Umbria che sono un posto fresco in estate ma in inverno sono proprio fredde.

La polveriera di Uppello - Sassovivo non era lontano dalla caserma, si percorreva una strada stretta che andava ad infilarsi in un vallone. La posizione della polveriera, nel vallone faceva sì che ci fosse sempre vento ed il vento in inverno non è cosa gradita a chi sta in una garitta per un paio d’ore.

A me capitarono in tutto una mezza dozzina di guardie una sola delle quali in polveriera.

Non la posso dimenticare.

Uno squallido e disadorno posto di guardia, una saletta con un grande tavolo, un cassettone per riporre le stoviglie, inutile perché nessuno cucinava, una vecchia cucina economica a legna, una camerata con quattro o cinque brande, solo pagliericci e qualche coperta. 

Nell’ingresso un attaccapanni con decine di Cappotti da Scolta.

Nella camerata un’atra stufa a legna.

La legna non mancava, ce n’era una grossa catasta dietro alla casermetta.

I locali erano invasi dal fumo delle stufe e dall’odore della legna che faceva bruciare gli occhi.

 

I tempi della guardia erano al solito due ore con un intervallo di quattro ore tra una guardie e l’altra. 

Era difficile dormire su quelle reti sfondate, il tempo si passava cazzeggiando nella saletta.

Dalla caserma portavano il rancio, pane, formaggio e salume, scatolette di sardine, una cassetta di vino rosso in bottigliette di vetro da un quarto, portavano anche una cassetta di frutta: mele, pere e qualche arancia .

La spettanza prevedeva anche caffè e zucchero, c’era una moka enorme e “dulcis in fundo” il “cordiale militare”. Bustine di plastica robusta contenenti cl 3 di grappa a 45°. Molti però non si servivano di queste delizie.

 

Una sera di gennaio, ventosa e gelida eravamo a cazzeggiare, venne in mente di aprire l cassetti trovandovi dentro molte bustine di cordiale lasciate da guardie precedenti, c’era anche molto zucchero. In terra accanto al cassettone un intera casetta di 24 bottigliette da un quarto di vino Rosso delle premiata ditta “Coloretti” ed una cassetta di mele, pere qualche arancia

 

Venne l’dea di preparare une miscela di tutto ciò che avevamo, Con i nostri coltelli tattici mele e pere furono pelate e tagliate a pezzi, pelli e torsoli finirono nella stufa.

IL tutto finì in un pentolone che era stato sommariamente lavato.

Nello stesso pentolone fini il vino, lo zucchero e tutto il cordiale.

Portato ad ebollizione diventò una miscela antigelo perfetta, con un paio di bicchieri non si sentiva più il freddo con uno in più si diventava come il draghetto “|Grisou”

. Con la bomba si rifocillava chi rientrava dal un turno di due ore e si caricava chi doveva iniziare il suo.

I vapori di alcool caldi che salivano dal bicchiere appena riempito facevano lacrimare piacevolmente gli occhi, le mele e le pere che non erano molto buone mangiate crude prendevano sapore con lo zucchero ed il vino. 

Mancava la cannella ed i chiodi d garofano e sarebbe stato perfetta.